sabato 31 maggio 2008

Al direttore di Cinematocasa il premio Joe Petrosino 2008


Verra´ assegnato al giornalista siciliano Massimo Di Martino il premio ´´Joe Petrosino 2008´´. Il reporter palermitano ricevera´ un attestato di benemerenza nel ricordo del tenente italo-americano ucciso nel capoluogo siciliano quasi cento anni fa. A ricevere il premio sabato prossimo, 31 maggio 2008, alle ore 10,30, presso la Certosa di Padula, luogo natale del detective americano, ci saranno anche il procuratore capo Giancarlo Caselli e Alessandra Perrone in rappresentanza del Comitato ´´Addiopizzo´´. Il pronipote dell´ufficiale di polizia newyorkese, Nino Melito, ha voluto premiare cosi´ nell´ambito della settima edizione della manifestazione. il giornalista Di Martino, autore della fiction Rai e del libro edito da Flaccovio, per aver contribuito in maniera eccellente al ricordo e alla promozione di Joe Petrosino´.

Il viaggio, l'esperienza, la vita: Itaca di Costantino Kavafis



Itaca

Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
ne' nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta; piu' profumi inebrianti che puoi,
va' in molte città egizie
impara una quantità
di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca -raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa' che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Costantino Kavafis

mercoledì 21 maggio 2008

Cinematocasa ovvero Il consumatore ribelle [di Elda Lo Cascio]


Anche il consumatore ha una sua coscienza. Una coscienza di classe, oserei dire. Ovvero, l’appartenere ad una rassicurante perché omologante categoria: quella dei consumatori, appunto. Nella nostra società (ma cos’è poi questa società dal corpo proteiforme in continua metaformosi???) dove vivono e si muovono corpi di consumatori tutti uguali, la cui unica aspirazione è il possesso del prodotto, mi sono chiesta: “ma è il consumatore a scegliere davvero ciò che vuole o ciò che vuole non è altro che il risultato di una scelta, obbligata, fatta a monte dai produttori che confezionano a loro piacimento i beni di consumo?”. Allora ho capito davvero. Si è aperto uno squarcio nel teatrino di carta. Il consumatore, dunque, non è libero di volere scegliere, l’unica possibilità che gli è concessa è quella, paradossale, di “dovere scegliere”. Il mio animo libertario con tratti anarcoidi ha resistito finchè ha potuto. Come minare alla radice questo meccanismo perverso, questa catena di montaggio dal sapore fordista, sovvertendo il sistema? Ma è ovvio. Sottraendosi al ruolo di consumatore e diventando produttore/autore di qualcosa in cui si crede e che si vuole perché è bello e piace. Per puro estetismo, forse. Ed ecco allora che è nato Cinematocasa (http://www.cinematocasa.it/), il prodotto di menti ribelli e poco inclini a far parte della categoria di consumatori che non rinunciano ad essere anche produttori del proprio bene di consumo. Tutti dovremmo provarci. E’ difficile, ma ci si riesce. “Cinematocasa” è una prova di questa ribellione. O forse ne è il prodotto, da scegliere di “consumare” con piacere, solo se ne abbiamo voglia.
E.L.C.

domenica 18 maggio 2008

L'artista è il creatore di cose belle - Omaggio a Oscar Wilde




Prefazione a Il ritratto di Dorian Gray



L'artista è il creatore di cose belle.

Rivelare l'arte e celare l'artista è il fine dell'arte.
Il critico è colui che sa tradurre in forma diversa o in nuova materia la sua sensazione del bello.
La più alta come la più meschina forma di critica sono una sorta di autobiografia.
Quelli che vedono brutti significati nelle cose belle sono disonesti senza essere interessanti. Questo è un difetto.
Quelli che vedono bei significati nelle cose belle sono i raffinati. Per essi c'è speranza.
Essi sono gli eletti per cui le cose belle significano solo bellezza.
Non esistono libri morali o immorali. I libri sono scritti bene o scritti male. Tutto qui.
L'avversione del diciannovesimo secolo per il realismo è la rabbia di Calibano che vede il suo volto in uno specchio.
L'avversione del diciannovesimo secolo per il romanticismo è la rabbia di Calibano che non vede il suo volto in uno specchio.
L'artista non ha affinità etiche. Un'affinità etica in un artista è un imperdonabile manierismo stilistico.
L'artista non è mai morboso. L'artista può esprimere tutto.
Il pensiero e il linguaggio sono per l'artista strumenti di un'arte.
Il vizio e la virtù sono per l'artista materiali di un'arte.

Dal punto di vista della forma, il modello di ogni arte è l'arte del musicista. Dal punto di vista del sentimento, il modello è il mestiere dell'attore.
Ogni arte è a un tempo facciata e simbolo.
Chi va oltre la facciata lo fa a suo rischio.
Chi intende il simbolo lo intende a suo rischio.
È lo spettatore, non la vita, che l'arte invero rispecchia.
La differenza di opinioni su un'opera d'arte indica che l'opera è nuova, complessa, vitale.
Quando i critici dissentono tra di essi, l'artista è d'accordo con se stesso.
Possiamo perdonare un uomo per aver fatto qualcosa di utile purché non l'ammiri. L'unica scusa per aver fatto una cosa inutile è di ammirarla intensamente.
utta l'arte è completamente inutile


Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray

giovedì 15 maggio 2008

L'Oceano di latte del Nuovomondo [di Elda Lo Cascio]



In un momento in cui il tema dell'immigrazione riguarda da vicino il nostro Paese che respinge senza appello i migranti clandestini, che arrivano in Italia stipati nelle 'carrette del mare' nella speranza di lasciarsi alle spalle l'icubo della povertà, della fame, delle malattie che affliggono i loro Paesi d'origine per trovarne di peggiori, forse, nella 'terra promessa', mi viene in mente un film, quel "Nuovomondo" del romano Emanuele Crialese, che vidi due estati fa a Venezia durante la 63° Mostra Internazionale del Cinema.


La storia stavolta non riguarda gli extracomunitari di colore o dell'Est che 'invadono' (secondo un'opinione diffusa, ahinoi!) il Vecchio Mondo, ma una famiglia di contadini di Petralia, un paese delle Madonie in Sicilia, che nei primi anni del Novecento decide di emigrare in America con un’unica speranza nel cuore: quella di trovare un lavoro. Non è la gloria, né la ricerca di grandi fortune a spingere Salvatore Mancuso (Vincenzo Amato) a prendere il coraggio a piene mani e a trascinare con sé la sua famiglia attraverso le acque perigliose dell’Oceano Atlantico. A vivere quest’avventura che ha i tratti di quella dei deportati nei campi di concentramento c’è anche una misteriosa donna inglese, Lucy (Charlotte Gainsburg) o Luce, nella lingua storpiata dei siciliani. La donna è l’unico personaggio che vive e sente l’esperienza del viaggio rimanendo ancorata alla realtà. E’ l’unica straniera in una nave di emigranti italiani, è l’unica persona colta, dalla pelle chiara e luminosa. E’ l’unico personaggio che vive la solitudine. Salvatore promette di sposarla non appena giunti in America, per permetterle di essere libera. In un contesto in cui l’irrazionale e il magico diventano la norma, Lucy mantiene viva un'abbagliante razionalità. Nel Nuovo Mondo gli emigranti vengono sottoposti ad esami medici e psicologici per vagliare l’opportunità di far mischiare la “razza” americana con persone provenienti dal Vecchio Mondo. L’uomo è spaesato, confuso e ammaliato dalla nuova situazione. Sotto la doccia, con l’acqua corrente mai vista nella loro vita, le donne si fermano a guardare i loro corpi, un battesimo che spinge al nuovo, un’iniziazione alla nuova vita e allo stesso tempo un affrancamento da quella passata. Il Nuovo Mondo è arrivato e con esso la speranza della realizzazione del sogno, la speranza che le leggende su questo paese così lontano e così ricco corrispondano al vero. L’ultima sequenza di “Nuovomondo”, esteticamente perfetta a parer nostro, entrerà di diritto nella storia del cinema: il bagno surreale degli emigranti in un mare di latte, forse metafora della realizzazione del sogno, di qualcosa di mai visto e di straordinario, una nuotata in un elemento primordiale, matriarcale, che forse coincide con la speranza e che ripaga del sacrificio.
E.L.C.

mercoledì 14 maggio 2008

Seduto alla Brasileira

La mia passione per il Portogallo e per il Maestro Fernando Pessoa ha preso la forma, nel giugno del 2006, di un racconto breve che è giunto secondo al concorso per foto e racconti "Scatti di Scrittura", bandito da Letteralmente - il portale della piccola editoria.


La foto, scattata da me a Lisboa nel Barrio Alto nell'estate dell'anno precedente, ritrae Pessoa assiso alla Brasileira, lo storico caffè, divenuto circolo letterario nel periodo d'oro della letteratura portoghese. A Lisbona, dal 1915 in poi, discettavano, riuniti nel cuore della città, intellettuali come FernandoPessoa e i suoi eteronimi (e chi potrebbe dimenticarli?), Mário de Sá-Carneiro, Almada Negreiros, Armando Córtes-Rodriguez, Luis de Montalvor, Alfredo Pedro Guisado che avevano dato vita alla rivista Orpheu, di ispirazione futurista, paulista e cubista. Il mio racconto è un omaggio al Poeta-Fingitore e alla scrittura come mappa per poter ripercorrere le tappe della nostra memoria.


Seduto alla Brasileira

Cosa ci faccio qui, a contemplare la folla che si affanna a correre, assecondando il movimento del tempo, dovrei cominciare a chiedermelo. Non so rispondere. È una domanda che forse sarebbe opportuno porre a ciascuno di noi, a chiunque abbia voglia di fermarsi per un attimo a osservare il mondo, bloccando il tempo in quel frammento di stasi che disorienta perchè è morte nella vita. Mi sono seduto per questo, per contemplare la vita, immobile come un morto. Ma non rimarrò seduto qui per molto. La mia è soltanto una pausa nell’incessante tamburellare del giorno. Ho sempre schivato il contatto con l’esterno, con quell’altro da me che non è nulla se non il fantasma di me stesso. Tutto è in me, anche l’altro che vedo, che fisso, che contemplo seduto sulla sedia di questo caffè di Lisbona dove servono un ottimo sorbetto al limone e un caffè senza pari. Io sono l’altro, sono tutti gli altri, le infinite possibilità dell’esistere. Devo ancora ordinare. La sedia accanto a me è vuota. Preferirei rimanere da solo nella folla, in compagnia della mia contemplativa solitudine, ma non posso negare ad un viandante la sosta. Accetto di sedere accanto soltanto a poeti o instancabili viaggiatori. Che poi, in fin dei conti, sono la stessa cosa. Gradisco la vostra compagnia ad un patto: che se siete dei viaggiatori, dopo aver ripreso un po’di fiato, mi mostrerete le carte dei vostri viaggi. Ogni viaggiatore che si rispetti porta con sé le mappe dei luoghi visitati e quelli da visitare, non si separa mai da un taccuino su cui annotare eventi, situazioni memorabili o incontri con uomini straordinari. A me interessano molto i viaggiatori, perché io ho viaggiato molto poco. Dei pochi incontri indimenticabili che ho fatto ho dimenticato quasi tutto. Non avevo con me un taccuino. Niente scrittura, niente passato. Ho peccato di presunzione perché pensavo che non avrei avuto bisogno di affidare alle lettere i miei ricordi, sicuro che sarebbero rimasti intatti, riposti in uno dei tanti cassetti della mia memoria, pronti a saltar fuori nel momento di fare ordine. Non faccio mai ordine. Forse è una cattiva abitudine, ma l’ordine mi disorienta e mi allontana dal contenuto delle cose. L’ordine è pura forma. Il sogno è forma? Molti di noi vivono di dimenticanze o di sogni, di quei rifiuti della coscienza su cui l’anima imbastisce la sua ragion d’essere. Da questa sedia mi ritaglio una finestra sul mondo dove le immagini degli uomini che attraversano questa strada, si affastellano ai lati di un crocicchio dove le esistenze sono forse puro pensiero o soltanto un sogno. Di chi? Forse nemmeno il sogno ci appartiene e correndo ci illudiamo di sentire carnalmente la nostra fisicità. Le vene che pulsano, il cuore che batte, il fiato intermittente. Una goccia di sudore, in questa mattina d’estate, mi ricorda che sono vivo, che esisto, che sono presente a me stesso. Stento a crederci. Il pensiero è di per sé il riflesso di qualcos’altro e mentre penso mi sento rifrangere in una dualità scissa, incommensurabilmente, all’interno di una frattura insanabile. Vivo come in uno specchio, su quella soglia fra l’immagine e la realtà dove è impossibile distinguere cosa è il riflesso e cosa, invece, non lo è. A volte penso che sono la stessa cosa, e vorrei essere il vetro dello specchio per essere tutto, sabbia e luce, la realtà e il suo doppio. Chi sono? Sì, un caffè e poi vado via. Le vostre carte, ancora non le avete tirate fuori. All’angolo della strada c’è un uomo distinto, cappello a falde larghe, vestito gessato, nodo perfetto alla cravatta. Impeccabile. Forse è un bancario, o un rappresentante di qualcosa. Di cosa non saprei dire. Che cambia? Le scarpe sono tirate a lucido. Si sarà fermato al Rossio, a quell’angolo con Praça da Figueira dove ogni giorno due uomini curvi, con la schiena piegata dal lavoro e coi capelli imbiancati dal tempo, impugnano le loro armi contro lo sporco di scarpe che hanno solcato percorsi irripetibili. Sono proprio tirate a lucido, con arte quasi certosina. Il nostro uomo dove si recherà? Quale il motivo di tanta eleganza? Chi deve incontrare nel suo peregrinare giornaliero? Quando l’uomo artificiale, ingessato in quell’abito da falsa cerimonia, tornerà ad essere naturale e riporrà la sua maschera sul letto a fine giornata, dopo aver piegato a dovere il suo vestito intriso dei sapori della gente con cui è venuto a contatto, forse riderà e si addormenterà tranquillamente (certo che si addormenterà tranquillamente, potremmo scommetterci) e non si accorgerà che dietro la sua maschera non c’è allegria. L’allegria è finita sotto la suola delle sue scarpe. Si è mascherato per esistere e nessuno lo ha smascherato. Nessuno ha pensato che dietro quel volto potesse esserci dell’altro, un dissimulatore onesto, onesto perché ignaro della sua stessa dissimulazione. Ma anch’io sono una maschera. Forse non è facile distinguerla, ma ne avverto il peso. Il peso di un volto solitario e orgoglioso non privo di vanità. La vanità mi permette di osare, di cambiare fattezze e di essere sempre diverso da me stesso. Impossibile riconoscermi ed essere riconosciuto. Non mi si può riconoscere perché sono tutti i travestimenti insieme e nessuno allo stesso tempo. Il volto dell’esistenza che lineamenti ha? Avevo detto che non si doveva parlare di forme e ne parlo. Ho paura delle forme, le temo più del sapore di questo caffè bollente che ho ordinato e che ancora non arriva. Le forme ingabbiano, classificano, deformano. È in nome delle forme che gli uomini lottano, combattono, uccidono. E tutto per un equivoco: scambiano la forma col contenuto. Ma il contenuto non può avere forma perchè è tutte le forme insieme. È come il bianco, il colore dell’anima, che racchiude in sé ogni possibilità cromatica. L’essere è molteplice. Tutto è l’uno. Sono irritato. Il caffè non arriva. L’attesa sta diventando troppo lunga e il risultato, prevedibilmente, sarà deludente. Anche il sole, così alto e così lucente, comincia a stancarmi. È un’escrescenza quasi perfetta, turbata soltanto dal passaggio indolente di quella piccola audace nuvola solitaria, un David incosciente che sfida Golia. Vorrei essere quella nube solitaria, tanto arrogante da sfidare l’imponente nemico. E invece? Rimango seduto qui, attendendo il caffè, e contemplando l’anonima folla, uno sciame privo di consistenza, un insieme di corpi in movimento che non sanno di non essere nulla, nemmeno corpo. Vorrei per un attimo non sentirmi, esorcizzando le sensazioni. Metterle un attimo da parte e non sentire che sono vivo. A volte mi chiedo se anche le sensazioni non siano frutto di un incessante lavorio del pensiero. È possibile pensare una sensazione? Quando accosterò le labbra all’agognata tazzina e sentirò avvicinarsi il vapore del caffè ancora fumante, mi chiederò se è vera la sensazione di calore che provo sul naso, se i miei baffi si bagneranno davvero, se il caffè è nero e bollente perché lo è o perché è così che lo avverto. Forse le sensazioni non sono reali, ma soltanto giuste, come giusti sono i rumori di questa strada che vive e che non attende nulla, neanche che beva un caffè. I viaggiatori non si sono fermati, la sedia è vuota. La mia mano destra compie un gesto involontario. Sembra che voglia fermare qualcuno. E magari rimarrò ancora un po’qui, in attesa di un nuovo sogno da sognare, aspettando che su questa sedia vuota, in questa affollata strada di Lisbona, venga a sedersi la notte col suo vestito frangiato d’infinito.
E.L.C.

domenica 11 maggio 2008

Sogno parigino - Omaggio a Baudelaire


SOGNO PARIGINO


I.

Di quei tremendi paesaggi
che l'occhio mortale mai vede
ancora stamane l'immagine
incerta e lontana m'assedia.


Nel sonno si mostra il miracolo!
Per un capriccio singolare
abolivo dallo spettacolo
la flora in forma regolare.


Fiero del mio genio pittorico
gustavo la monotonia
inebriante dei colori:
oro marmo acqua in armonia.


Babele di scale, d'arcate,
un palazzo ch'era infinito,
bacini dovunque, e cascate
sopra l'oro opaco e brunito.


E poi, cateratte pesanti,
come tendaggi di cristallo,
erano sospese, abbaglianti,
lungo muraglie di metallo.


Paludi stagnanti accerchiate
non da alberi ma da colonne,
dove naiadi smisurate
si specchiavano, come donne.


Scorreva un rivo d'acqua blu
tra rosate e virenti sponde,
per milioni di leghe e più
fino al lembo estremo del mondo.


Pietre preziose mai notate,
flutti magici, straordinarie
specchiere, ch'erano abbagliate
pur dal loro riverberare.


Indifferrenti, taciturni,
tanti Gange nel firmamento
versavano dalle loro urne
tesori in gorghi di diamante.


Architetto di favolosi
mondi, facevo a piacimento
sotto un tunnel di preziosi
trascorrere un oceano lento.


Tutto, anche il nero, era un fulgore,
era limpido, era iridato,
l'acqua incastonava la gloria
in un raggio cristallizzato.


Non c'erano astri né vestigia
di sole, neppure a occidente,
per dar luce a tali prodigi,
infocati per propria fonte.


Su questi nobili portenti
planava (amara novità:
tutto agli occhi, all'udito niente)
un silenzio d'eternità.

II.


Aperti gli occhi in un incendio,
l'orrore ho visto del mio tetto,
poi ho sentito, riavendomi,
l'amaro assillo maledetto.


La pendola dal tocco funebre
suonava mezzodì, brutale,
mentre il cielo versava tenebre
sul torpore del mondo uguale.

Charles Baudelaire, I fiori del male

giovedì 1 maggio 2008

La biblioteca di Alessandria: la cultura in 30 libri [di Elda Lo Cascio e Carlo Cannella]






Bastano 30 libri per capire chi siamo e da dove veniamo. Forse l'operazione apparirà non priva di una certa supponenza, ma io e il mio amico Carlo (compagno di tante avventure intellettuali) abbiamo provato a stilare una classifica in cui sono presenti i capisaldi del pensiero occidentale e non, tutti testi che, secondo noi, rappresentano la summa dell'autentica Letteratura (quella con la L maiuscola, n.d.r.). A malincuore abbiamo lasciato fuori dall'elenco una serie di libri a cui siamo pur molto affezionati, ma che forse sono un po' meno universali degli altri. Per chi volesse cominciare....


  1. Omero, Iliade

  2. Omero, Odissea

  3. Upanishad

  4. Sofocle, Antigone

  5. Sofocle, Edipo Re

  6. Platone, Il Fedone

  7. Lucrezio, De Rerum Natura

  8. Bibbia

  9. Corano

  10. Marco Polo, Il Milione

  11. Dante, Divina Commedia

  12. Niccolò Machiavelli, Il Principe

  13. William Shakespeare, Macbeth

  14. Miguel de Cervantes, Il fantastico cavaliere donChisciotte de la Mancha

  15. Le Mille e una notte

  16. Goethe, Faust

  17. Giacomo Leopardi, I Canti

  18. Giacomo Leopardi, Le Operette Morali

  19. Charles Baudelaire, I Fiori del Male

  20. Friedrich Hoelderlin, Liriche

  21. Rainer Maria Rilke, Sonetti ad Orfeo

  22. Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra

  23. Walt Whitman, Foglie d'erba

  24. Fedor Dostoevskij, Delitto e castigo

  25. Franz Kafka, Il Castello

  26. Herman Melville, Moby Dick

  27. Jorge Luis Borges, L'Aleph

  28. Elias Canetti, Massa e potere

  29. Italo Calvino, Le città invisibili

  30. Friedrich Durrenmatt, La morte della Pizia

BUONA LETTURA....