lunedì 30 giugno 2008

C’era una volta nel luglio del 2000…[di Elda Lo Cascio]


Era l’estate del 2000 quando mi ritrovai a partecipare alla selezione per uno stage organizzato dal comune di Palermo e riservato a sei giovani registi palermitani in erba, o presunti tali, e ad altrettanti registi palestinesi (in realtà ne vennero a Palermo solo quattro). Quando mi sedetti a discutere con Gregorio Napoli (lo conoscete tutti, no?) che mi faceva domande sulla storia del cinema russo, sul cambiamento epistemologico che il cinema stava affrontando a causa del digitale,sul senso del muto in Chaplin (!?!) mi sentii un po’un pesce fuor d’acqua e dicevo fra me e me: “Cosa ci faccio qui?”. Poi passai nelle mani di Mario Bellone e non ricordo nemmeno più di chi altri. Mi alzai soddisfatta delle mie risposte e del fatto che in ogni caso il partecipare alla selezione era stata per me una bella esperienza. Quando ricevetti la telefonata che mi comunicava che ero stata scelta fra i sei partecipanti allo stage, non potei trattenere un urlo di gioia. Ce l’avevo fatta! E così cominciarono quindici frenetici giorni per la realizzazione del medio-metraggio “Sicilia: terra di speranza e di incontro”. Ricordo quell’esperienza come una delle più divertenti della mia vita e soprattutto ricordo con affetto tutti coloro che vi presero parte, soprattutto Nagy Rizk (vero maestro e uomo di cinema )e, ovviamente, il mio caro amico Alessandro Aronadio. Adesso che sono passati otto anni, alcuni di noi hanno preso strade del tutto diverse da quelle ipotizzate un tempo. Qualcuno continua ad occuparsi di cinema per hobby, più che per mestiere (come me), e qualcun altro sta per girare la sua opera prima dal titolo “Aspettando Godard”…. Alessandro sei un grande! In tuo onore, caro Aronadio, inserisco nel blog il comunicato stampa del 2000 che parlava del “nostro”stage “Palermo-Betlemme”. Al più presto inserirò il trailer del tuo film. In bocca al lupo, Ale! La tua amica locax.

STAGE DI CINEMATOGRAFIA "PALERMO-BETLEMME 2000" IERI SERA LA PRESENTAZIONE DEL MEDIOMETRAGGIO

Storie, colori, radici, contaminazioni. Una Palermo vista dal buco della serratura, raccontata dalle telecamere di un gruppo di giovani registi, sei siciliani e quattro palestinesi. E' il risultato dello stage di cinematografia che si è svolto a Palermo dal 3 al 19 luglio, promosso dall'Assessorato all'Informazione e dall'Assessorato alla Cultura del Comune, e diretto dall' associazione "Multirifrazione Progetti" con la Nuova Università del Cinema e della Televisione di Roma, nell'ambito delle iniziative di "Palermo-Betlemme 2000". Il video, dal titolo "Sicilia: terra di speranza e di incontro", e della durata di 30 minuti, è stato presentato ieri sera a Villa Niscemi. Sono intervenuti l'Assessore all'Informazione Alberto Mangano, l'Assessore alla Cultura Giusto Catania, l'Assessore alla Promozione della persona della famiglia e della comunità, Giuseppe Bruno, Ali Rashid, primo segretario della delegazione palestinese in Italia, il critico cinematografico Gregorio Napoli, i cinque tutor dello stage, tre di nazionalità araba e due italiani, e naturalmente gli allievi che hanno firmato la regia, la sceneggiatura e la fotografia del mediometraggio: Zuher Belbisi, Abdallah Baker, Farid Shahin, Asbraf Assaifi, Alessandro Aronadio, Marina Di Giorgi, Paolo Iraci, Elda Lo Cascio, Daniela Paternostro, Sergio Ruffino, il più giovane del gruppo, appena ventenne. "Il cinema si rivela con quest'esperienza un potente strumento dl comunicazione - ha commentato l'Assessore Alberto Mangano - I ragazzi hanno potuto scoprire, attraverso il linguaggio cinematografico, un sentire comune, un profondo legame tra la Sicilia e il mondo arabo. E dal punto di vista politico quest'attenzione culturale è importantissima per avviare un dialogo nell'area del Mediterraneo". Entusiasti gli ospiti palestinesi: "E' stata un'esperienza emozionante sotto tutti i punti di vista - ha detto uno dei tutor, Hatem Abeb Sabra - sotto l'aspetto culturale, ma anche dal punto di vista umano". Il video verrà trasmesso dalla televisione satellitare pubblica palestinese, e il prossimo ottobre, nell'ambito della rassegna palermitana di cinema palestinese, mentre il ciclo di manifestazioni di "Palermo-Betlemme 2000" - inaugurato lo scorso dicembre con due concerti, nella chiesa Santa Caterina di Betlemme e al teatro Massimo di Palermo - proseguirà in autunno con un convegno multiculturale sull'identità, l'economia e il futuro dei popoli del Mediterraneo.
21 luglio 2000

domenica 29 giugno 2008

Darren Aronofsky di nuovo sul grande schermo con The Fountain [di Elda Lo Cascio]

Ci saremmo aspettati molto di più da Darren Aronofsky, autore di un film cult come “Requiem for a dream”, non fosse altro per il fatto che abbiamo dovuto attendere cinque anni la sua ultima fatica “The Fountain”, un fantasy drammatico carico di simbologia che però finisce col collassare su se stesso. 96 minuti di puro delirio attraverso un viaggio temporale che alterna la Spagna dei conquistadores all’America attuale fino a giungere in un futuro lontano in cui è rimasto soltanto un uomo, l’unico sopravvissuto nell’intera galassia. La storia è incentrata sulla ricerca dell’immortalità che scaturisce dall’albero della vita. Il protagonista del film è Tommy Creo (Hugh Jackman), uno scienziato che al giorno d’oggi cerca un rimedio al cancro di cui è vittima la moglie Izzy (Rachel Weisz). Nella ricerca di un antidoto alla morte, Tommy capirà che l’immortalità non rappresenta la via per la salvezza e per la felicità, ma che la morte è invece, citando una frase ricorrente del film, “l’unica via per lo stupore”. Il film dal vago sapore new age non riesce a fondere i troppi elementi simbolici disseminati al suo interno: la ricerca dell’albero della vita, la cacciata dal Paradiso terrestre, la sapienza Maya, per concludere con un assaggio di saggezza Zen. Non basta il premio Oscar Rachel Weisz, compagna di Aronofsky, a riscattare il film. Il regista newyorchese ha precisato in un’intervista a Venezia che il significato del film sta nella consapevolezza che la morte fa parte dell’esperienza umana e che il destino degli uomini sta nella possibilità di scelta e nel compimento degli errori. Aronofsky ha, inoltre, raccontato l’odissea che ha dovuto vivere per girare e distribuire “The fountain”, un film difficile per i produttori che non se la sentivano di investire in questo lungometraggio a metà fra la fantascienza e storia d’amore. La bella e sorridente Rachel Weisz si è dichiarata onorata di aver lavorato con Aronofsky, padre del suo bambino, e di non aver avuto paura della morte durante le riprese del film. Unica nota pregevole di “The Fountain” la fotografia e gli effetti visivi, creati ricomponendo al computer un collage di immagini precedentemente girate.

E.L.C.

giovedì 26 giugno 2008

Il futuro dell'energia (o l'energia del futuro?): intervista a Jeremy Rifkin



Dal blog di Beppe Grillo del 25 giugno '08 l'intervista al genio dell'economia Jeremy Rifkin, pacifista e ambientalista, pioniere delle ricerche sull'idrogeno quale fonte di energia alternativa ai combustibili fossili e al nucleare.


"Ora, al tramonto [della seconda rivoluzione industriale] ci sono alcune situazioni davvero molto critiche. Il prezzo dell'energia sta drammaticamente salendo e il mercato mondiale del petrolio si è appena avviato al suo picco di produzione. I prezzi del cibo sono raddoppiati negli ultimi anni poiché la produzione di cibo è prevalentemente basata sui combustibili fossili. Appena raggiungeremo il picco della produzione di petrolio, i prezzi saliranno, l'economia globale ristagnerà, avremo recessione e ci saranno persone che non riusciranno a mettere in tavola qualcosa da mangiare. Il "picco del petrolio"
avviene si è usato metà del petrolio disponibile. Quando questo avverrà, quando saremo all'apice di questa curva, saremo alla fine dell'era del petrolio perché il costo di estrazione non sarà più sostenibile. Quando arriveremo al picco? L'ottimista agenzia internazionale per l'energia dice che ci arriveremo probabilmente attorno al 2025-2035. D'altra parte negli ultimi anni alcuni dei più grandi geologi del mondo, utilizzando dei modelli matematici molto avanzati, rilevano che arriveremo al picco tra il 2010 e il 2020. Uno dei maggiori esperti sostiene che il picco è già stato raggiunto nel 2005. Ora, il giacimento del Mare del Nord ha raggiunto il picco 3 anni fa. Il Messico, il quarto produttore mondiale, raggiungerà il picco nel 2010, come probabilmente la Russia. Nel mio libro, Economia all'idrogeno, ho speso molte parole su questa questione. Io non so chi ha ragione, gli ottimisti o i pessimisti. Ma questo non fa alcuna differenza, è una piccolissima finestra. La seconda crisi legata al tramonto di questo regime energetico è l'aumento di instabilità politica nei Paesi produttori di petrolio. Dobbiamo capire che oggi un terzo delle guerre civili nel mondo è nei Paesi produttori di petrolio. Immaginate cosa accadrà nel 2009, 2010, 2011, 2012 e così via. Tutti vogliono il petrolio, il petrolio sta diventando sempre più costoso. Ci saranno più conflitti politici e militari nei Paesi produttori. Infine, c'è la questione dei cambiamenti climatici. Se prendiamo gli obiettivi dell'Unione Europea sulla riduzione della Co2, e la UE è la più aggressiva del mondo in questo senso, anche se riuscissimo a raggiungere quegli obiettivi ma non facessero lo stesso India, Cina e altri Paesi, la temperatura aumenterà di 6°C in questo secolo e sarà la fine della civilizzazione come la conosciamo.
Lasciatemi dire che quello di cui abbiamo bisogno adesso è un piano economico che sia sufficientemente ambizioso ed efficace per gestire l'enormità del picco del petrolio e dei cambiamenti climatici.
Lasciatemi dire che le grandi rivoluzioni economiche accadono quando l'umanità cambia il modo di produrre l'energia, primo, e quando cambia il modo di comunicare, per organizzare questa rivoluzione energetica.
All'inizio del XX secolo la rivoluzione del telegrafo e del telefono convergeva con quella del petrolio e della combustione interna, dando vita alla seconda rivoluzione industriale. Ora siamo al tramonto di quella rivoluzione industriale. La domanda è: come aprire la porta alla terza rivoluzione industriale. Oggi siamo in grado di comunicare peer to peer, uno a uno, uno a molti, molti a molti. Io sto comunicando con voi via Internet. Questa rivoluzione "distribuita"
della comunicazione, questa è la parola chiave: "distribuita", questa rivoluzione "piatta", "equa" della comunicazione proprio ora sta cominciando a convergere con la rivoluzione della nuova energia distribuita. La convergenza di queste due tecnologie può aprire la strada alla terza rivoluzione industriale. L'energia distribuita la troviamo dietro l'angolo. Ce n'è ovunque in Italia, ovunque nel mondo.
Il Sole sorge ovunque sul pianeta. Il vento soffia su tutta la Terra, se viviamo sulla costa abbiamo la forza delle onde. Sotto il terreno tutti abbiamo calore. C'è il mini idroelettrico. Queste sono energie distribuite che si trovano ovunque. L'Unione Europea ha posto il primo pilastro della terza rivoluzione industriale, che sono le energie rinnovabili e distribuite. Primo, dobbiamo passare alle energie rinnovabili e distribuite. La UE ha fissato l'obiettivo al 20%.
Secondo, dobbiamo rendere tutti gli edifici impianti di generazione di energia. Milioni di edifici che producono e raccolgono energia in un grande impianto di generazione. Questo già esiste. Terzo pilastro:
come accumuliamo questa energia? Perché il Sole non splende sempre, nemmeno nella bellissima Italia. Il vento non soffia sempre e le centrali idroelettriche possono non funzionare nei periodi di siccità.
Il terzo pilastro riguarda come raccogliamo questa energia e la principale forma di accumulo sarà l'idrogeno. L'idrogeno può accumulare l'energia così come i supporti digitali contengono le informazioni multimediali. Infine, il quarto pilastro, quando la comunicazione distribuita converge verso la rivoluzione energetica generando la terza rivoluzione industriale. Prendiamo la stessa tecnologia che usiamo per Internet, la stessa, e prendiamo la rete energetica italiana, europea e la rendiamo una grande rete mondiale, come Internet. Quando io, voi e ognuno produrrà la sua propria energia come produciamo informazione grazie ai computer, la accumuliamo grazie all'idrogeno come i media con i supporti digitali, potremo condividere il surplus di produzione nella rete italiana, europea e globale nella "InterGrid", come condividiamo le informazioni in Internet. Questa è la terza rivoluzione industriale. Io lavoro con molte tra le più grandi aziende energetiche del mondo, come consulente. Lasciatemi fare una considerazione in termini di business, non in termini ideologici.
Non credo che l'energia nucleare sarà significativa in futuro e credo che sia alla fine del suo corso e qualsiasi governo sbaglierebbe a investire nell'atomo. Vi spiego le ragioni. Non produciamo Co2 con gli impianti nucleari, quindi dovrebbe essere parte della soluzione ai problemi climatici. Ma guardiamo ai numeri. Ci sono 439 impianti nucleari al mondo, oggi, che producono solo il 5% dell'energia che consumiamo. Questi impianti sono molto vecchi. C'è qualcuno in Italia o nel mondo che davvero crede che si possano rimpiazzare i 439 impianti che abbiamo oggi nei prossimi vent'anni. Anche se lo facessimo continueremmo a produrre solo il 5% dell'energia consumata, senza alcun beneficio per i cambiamenti climatici. E' chiaro che perché ne avesse, dovrebbero coprire almeno il 20% della produzione.
Ma perché la produzione di energia sia per il 20% nucleare, dovremmo costruire 3 centrali atomiche ogni 30 giorni per i prossimi 60 anni.
Capito? Duemila centrali atomiche. Tre nuove centrali ogni mese per sessant'anni. Non sappiamo ancora cosa fare con le scorie. Siamo nell'energia atomica da 60 anni e l'industria ci aveva detto:
"Costruite gli impianti e dateci tempo sufficiente per capire come trasportare e stoccare le scorie". Sessant'anni dopo questa industria ci dice "Fidatevi ancora di noi, possiamo farcela", ma ancora non sanno come fare. L'agenzia internazionale per l'energia atomica dice che potremmo avere carenza di uranio tra il 2025 e il 2035, facendo cosi' morire i 439 impianti nucleare che producono il 5% dell'energia del mondo. Potremmo prendere l'uranio che abbiamo e convertirlo in plutonio. Ma avremmo il pericolo del terrorismo nucleare. Vogliamo davvero avere plutonio in tutto il mondo in un'epoca di potenziali attacchi terroristici? Credo sia folle. E infine, una cosa che tutti dovrebbero discutere col vicino di casa: non abbiamo acqua! Questo le aziende energetiche lo sanno ma la gente no. Prendete la Francia, la quintessenza dell'energia atomica, prodotta per il 70%. Questo e'
quello che la gente non sa: il 40% di tutta l'acqua consumata in Francia lo scorso anno, e' servita a raffreddare i reattori nucleari.
Il 40%. Vi ricordate tre anni fa, quando molti anziani in Francia morirono durante l'estate perche' l'aria condizionata era scarsa?
Quello che non sapete e' che non ci fu abbastanza acqua per raffreddare i reattori nucleari, che dovettero diminuire la loro produzione di elettricita'. Dove pensano di trovare, l'Italia e gli altri Paesi, l'acqua per raffreddare gli impianti se non l'ha trovata la Francia?
Quello che dobbiamo fare è democratizzare l'energia. La terza rivoluzione industriale significa dare potere alle persone e per la generazione cresciuta con la Rete questo è la conclusione e il completamento di questa rivoluzione, proprio come ora parliamo in Internet, centinaia di persone sono in Internet, ed è tutto gratuito, e questi possono creare il più grande, decentralizzato, network televisivo, open source, condiviso…perché non possiamo farlo con l'energia? L'Italia è l'Arabia Saudita delle energie rinnovabili! Ci sono così tante e distribuite energie rinnovabili nel vostro Paese! Mi meraviglio quando vengo nel vostro Paese e vedo che non vi state muovendo nella direzione in cui si muove la Spagna, aggressivamente verso le energie rinnovabili. Per esempio, voi avete il Sole! Avete così tanto sole da Roma a Bari. Avete il Sole! Siete una penisola, avete il vento tutto il tempo, avete il mare che vi circonda, avete ricche zone geotermiche in Toscana, biomasse da Bolzano in su nel nord Italia, avete la neve, per l'idroelettrico, dalle Alpi. Voi avete molta più energia di quella che vi serve, in energie rinnovabili! Non la state usando…io non capisco. L'Italia potrebbe. Credo che, umilmente, quel che posso dire al governo italiano è: a che gioco volete giocare? Se il vostro piano è restare nelle vecchie energie, l'Italia non sarà competitiva e non potrà godere dell'effetto moltiplicatore sull'economia della terza rivoluzione industriale per muoversi nella nuova rivoluzione economica e si troverà a correre dietro a molti altri Paesi col passare del XXI secolo. Se invece l'Italia deciderà che è il momento di iniziare a muoversi verso la terza rivoluzione industriale, le opportunità per l'Italia e i suoi abitanti saranno enormi. Da anni seguo il tuo sito, vorrei che ci fossero voci come la tua in altri Paesi. Ha permesso a cosi' tante persone di impegnarsi insieme...credo sia istruttivo rispetto alla strada che dobbiamo intraprendere."

Jeremy Rifkin

lunedì 23 giugno 2008

Un monito antirazzista di Gustav Niemoller

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari


Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c'era rimasto nessuno a protestare.


sabato 21 giugno 2008

Alfonso Cuaròn e i figli degli uomini [di Elda Lo Cascio]


CHILDREN OF MEN



Dopo la regia di “Harry Potter e il prigioniero di Azkaban” (2004), il versatile regista messicano Alfonso Cuaròn si cimenta in un thriller fantascientifico, “Children of Men”, isopirato al romanzo della scrittrice inglese P.D.James. La storia è ambientata a Londra nel 2027, anno in cui il mondo è piagato da continue guerre e le donne soffrono di una malattia che porta alla sterilità. Non nasce un bambino da diciotto anni e il futuro dell’umanità è minacciato da questa nuova e orribile pandemia dalle cause inspiegabili. In un mondo in cui il caos e l’illegalità hanno avuto la meglio sull’ordine e la giustizia, l’Inghilterra rimane l’ultimo luogo di resistenza ad un nichilismo senza scampo. Il regime inglese totalitario utilizza però qualunque mezzo di repressione per combattere clandestini e rivoluzionari . In questo scenario apocalittico si muove Theo (Clive Owen, presente qui a Venezia), ex attivista dalla vita apatica, che verrà coinvolto dalla sua vecchia compagna Julian (Julianne Moore) nella difficile impresa di mettere in salvo Kee (Clare-Hope Ashitey), una giovane donna africana che porta in grembo un bimbo di otto mesi, nuovo redentore dell’umanità. Grazie anche all’aiuto dell’eccentrico Jasper (uno strepitoso Michael Caine), un hippie del nuovo millennio, Theo riuscirà a farsi garante della salvezza di quell’ indispensabile madonna nera. Pur essendo ambientato nel 2027 in un contesto futuristico, la Londra di “Children of Men” è ricostruita prendendo a modello gli scenari disumani della Palestina, dell’Iraq, della Somalia, della Bosnia, tutte terre violentate dalla guerra. Il film rimane in ogni caso difficilmente classificabile secondo i canoni usuali della schematizzazione dei generi cinematografici: è un prodotto sfaccettato in grado di porci di fronte ad un dramma di un domani che non è poi così lontano, fornendoci però una luce di speranza che ha tutto il sapore di un ammonimento. Ha detto Cuaròn ai giornalisti che hanno definito “Children of Men” un film pessimista: “La mia non è una visione pessimistica del futuro, ma piuttosto una visione realistica del presente. Per questa ragione ho usato delle icone, degli archetipi collettivi umani immediatamente comprensibili da tutti visto che, più che del futuro, volevo parlare del presente. Nel film è presente molta violenza, ma siamo stati ben attenti a non esaltarla in nessun modo. Volevamo mostrare la realtà che purtroppo è propria di alcune zone del mondo, senza mitizzarla, i personaggi, infatti, uccidono solo per difendersi e sopravvivere”.

E.L.C.

giovedì 19 giugno 2008

L'angoscia dell'amore : Cascando di Samuel Beckett



Cascando


I
perché non meramente l’occasione
senza speranze di stillare
parole
meglio non è abortire che essere sterili
plumbee dopo che tu vai via le ore
cominceranno sempre troppo presto
uncinando alla cieca
a dragare il letto del desiderio
recuperando le ossa i vecchi amori
orbite un tempo riempite di occhi come i tuoi
forse che tutto è sempre meglio troppo presto che mai
coi volti bruttati dal nero desiderio
nuovamente dicendo in nove giorni mai riemerse l’amato
né in nove mesi
né in nove vite

II
nuovamente dicendo
se non m’insegni non imparerò
nuovamente dicendo ecco vi è un’ultima volta
persino per le ultime volte ultime volte per mendicare
ultime volte per amare
per sapere di non sapere fingere
un’ultima anche per le ultime volte
di dire se non m’ami
non sarò amato se non amo te
non amerò

la zangola di parole stantie nuovamente nel cuore
amore amore amore
tonfo del vecchio pistone a pestare
l’inalterabile
siero di parole

nuovamente atterrito
di non amare
di amare e non te
di essere amato e non da te
di sapere di non sapere fingere
fingere

io e tutti quegli altri che ti ameranno
se ti amano

III
sempre che ti amino


Samuel Beckett

domenica 8 giugno 2008

Lezioni di cinema: Robert Guédiguian [di Elda Lo Cascio]



Inserisco nel blog un articolo scritto in occasione delle lezioni di cinema che il regista marsigliese ha tenuto a Palermo nell’ottobre 2006, un omaggio ad un grande del cinema francese, e un omaggio alla sua Marsiglia, vera protagonista dei suoi film (e dei quadri di Cèzanne…)


Robert Guédiguian è a Palermo. Il noto regista francese, autore di piccoli capolavori quali “Marius e Jeannette” (1997) o il più recente “Le passeggiate al Campo di Marte” (2004), film che racconta gli ultimi giorni di vita dell’ex presidente francese François Mitterand, è protagonista, nella nostra città, di un seminario sul cinema dal titolo “Lezioni Siciliane”. L’evento, che è ha avuto inizio lunedì 16 ottobre e finirà venerdì 20, è promosso dalla Filmoteca Regionale Siciliana insieme con il Centro Culturale Francese, ed è organizzato dall’Associazione Culturale Nanook. Robert Guédiguian, camicia bianca, pantalone nero, capello arruffato e occhiali tondi, incarna il modello dell’intellettuale francese. Ex attivista nel partito comunista francese, uomo di origini popolari (è nato all’Estaque, il quartiere portuale di Marsiglia), Guédiguian è approdato al cinema perché rappresenta una possibilità di resistenza politica in un mondo pervaso dalla caduta delle illusioni anticapitalistiche. Il suo cinema è costellato di elementi politici e ideologici. I protagonisti dei suoi film, in uno scenario ‘rustico’ (come dice lo stesso Guédiguian) e popolare, incarnano uno spaccato della società contemporanea, con i suoi valori e dis-valori, con la sua capacità di reagire o di rimanere immobile. Guèdiguian imposta il seminario sul cinema in modo non convenzionale: nessuna lezione frontale, solo interazione col pubblico che ha assistito alle proiezioni dei suoi film. Interrogato sul perché ha deciso di far cinema, Guédiguian risponde che in Francia, nei primi anni ’80, il cinema parlava soltanto di se stesso. Nel panorama cinematografico francese un film come “Dernier été” (1980), il suo primo lungometraggio, era assolutamente di controtendenza. Secondo il regista marsigliese, il cinema francese di allora non aveva alcuna fiducia in se stesso e nelle cose che raccontava. Per Guèdiguian il cinema deve avere fiducia nel reale perché, parafrasando Pasolini, la realtà non è altro che un lungo piano sequenza. Pertanto, l’autore di “Marius e Jeannette” invita tutti noi a fare cinema, perché è la cosa più semplice del mondo: il cinema è osservare la realtà. Ciò che conta e che fa la differenza è il nostro regard, il nostro sguardo sul mondo.
Per essere buoni registi, secondo il cineasta marsigliese, bisogna rinunciare a voler avere il controllo su tutti gli elementi del film. L’autore deve limitarsi ad avere un’”intuizione”, un “presentimento” riguardo a ciò che il film dovrà essere, ma soprattutto rappresentare. Il film nasce attraverso un confronto con la realtà e questo giustifica il fatto che ogni singolo spettatore possa percepire il film in modo differente da ogni altro. Se Bertold Brecht parla di spettatore ideale, ovvero il destinatario che vive nella mente del regista quando questi “crea” il film, Guédiguian rinuncia a questa utopia e accetta che l’opera d’arte, una volta portata a termine, appartenga del tutto allo spettatore e non più al suo autore. In questa concezione dell’arte, il cinema assurge ad un ruolo fondamentale, ovvero a scuotitore delle coscienze. Proprio per questo i film, secondo Guédiguian, devono essere estremi; diremmo con Aristotele che devono appartenere alla commedia o alla tragedia, senza via di mezzo. Il punto di partenza è una problematica che può essere risolta o meno. Un film deve fare arrabbiare o deve incoraggiare, continuando ad avere risonanza nella vita dello spettatore, anche a visione conclusa. In questo senso, l’arte si configura come resistenza alla morte e come spinta “politica” a cambiare le cose. In definitiva, un autore produce sempre uno stesso film anche se in forme differenti. L’evoluzione di un percorso artistico corrisponde all’evoluzione della biografia di una autore e ci sono cose che spesso rimangono uguali nella sostanza, pur cambiando forma. Quello che può cambiare è il modo di raccontare una storia ma non la storia in sé.“Marius e Jeannette” e “La ville ést tranquille” incarnano appieno questa concezione dell’arte, ma ancora di più, il finale epico di “Marie-Jo e i suoi due amori”, che nella tragicità della storia ci riporta al presente, ci fa scontrare con quella che è l’essenza della condizione umana, ovvero il suo essere effimero.

E.L.C.

venerdì 6 giugno 2008

Un Ozpetek con Saturno contro [di Elda Lo Cascio]


Di Ferzan Ozpetek
Con Pierfrancesco Favino, Luca Argentero, Ambra Angiolini
Drammatico, Ita 2007, 110’

Gli amori, gli amici, per sempre. Questo il sottotitolo di “Saturno Contro”, ultima fatica di Ferzan Ozpetek, interamente girato a Roma e prodotto da Medusa. Il nucleo della storia, come avveniva ne “Il Grande Freddo” di Lawrence Kasdan, prende il via dalla morte di uno dei protagonisti, Lorenzo (Luca Argentero), compagno omosessuale di Davide (Pierfrancesco Favino), scrittore di libri per ragazzi. Protagonista della vicenda è un gruppo di amici, la famiglia allargata di Davide e Lorenzo, che partecipa agli eventi della vita, in uno sfondo malinconico e amaro, dove la generazione dei trentenni s’incontra con quella dei quarantenni, fra paure, incertezze e delusioni. Unica àncora di salvezza in un universo privo di punti di riferimento è l’amicizia, salda nonostante tutto, che si traduce nella possibilità di condividere i drammi e i cambiamenti, in una dimensione collettiva dove è possibile un paradossale ma eterno presente. Il tragico evento dell’agonia di Lorenzo, entrato in coma per un aneurisma cerebrale, e poi la sua morte, favorisce lo smascheramento dell’interiorità di tutti i personaggi presenti sulla scena. A venire minacciato dallo scorrere del tempo è l’universo medioborghese a cui appartengono tutti i protagonisti: da Angelica (Margherita Buy) psicologa a un punto morto della sua relazione con Antonio (Stefano Accorsi), il marito che la tradisce con una bella fioraia (Isabella Ferrari), alla saccente Neval (Serra Yilmaz) interprete e traduttrice turca con un marito gregario e balbuziente, a Sergio (Ennio Fantastichini), ex di Davide e nullafacente. Un film corale, dunque, sul tema dall’amore, dell’amicizia e soprattutto della separazione, dove l’accettazione del lutto, reale o metaforico che sia, diventa il punto di partenza per instaurare relazioni più vere in uno spazio in cui la comunicazione diventa l’unica resistenza possibile al corso della Storia. Il corpo morto di Lorenzo fa da trait d’union alle vite parallele dei personaggi che riscoprono, nella tragedia, la possibilità di essere più veri, di “espellere” da sé i bisogni e le emergenze represse dallo spirito dei tempi, per capovolgere i verdetti astrologici di una società in cui l’energia di Saturno in opposizione può essere neutralizzata dalla forza di una dimensione privata che nel pubblico trova la sua più genuina espressione.


E. L. C.
(anche su http://www.cinematocasa.it/)

Una dedica...grazie a Wislawa Szymborska e a Robert Doisneau


AMORE A PRIMA VISTA


Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
E’ bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella.

Non conoscendosi prima,credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da molto tempo potevano incrociarsi?

Vorrei chiedere loro
se non ricordano-una volta un faccia a faccia
forse in una porta girevole?
uno “scusi” nella ressa?
un “ha sbagliato numero” nella cornetta?- ma conosco la risposta.
No, non ricordano.

Li stupirebbe molto sapere
che già da parecchio
il caso stava giocando con loro.
Non ancora del tutto pronto
a mutarsi per loro in destino,
li avvicinava e allontanava,
tagliava loro la strada
e soffocando un risolino
si scansava con un salto.

Vi furono segni, segnali,
che importa se indecifrabili.
Forse tre anni fa
o il martedì scorso
una fogliolina volò via
da una spalla a un’altra?
Qualcosa fu perduto e qualcosa fu raccolto.
Chissà, forse già la palla
tra i cespugli dell’infanzia?

Vi furono maniglie e campanelli
su cui anzitempo
un tocco si posava su un tocco.
Valigie accostate nel deposito bagagli.
Una notte, forse, lo stesso sogno,
subito confuso al risveglio.

Ogni inizio infatti
è solo un seguito
e il libro degli eventi
è sempre aperto a metà.

Wislawa Szymborska

martedì 3 giugno 2008

Zoe: le città e i segni- Omaggio a Italo Calvino




Zoe. Le città e i segni. 3.


L’uomo che viaggia e non conosce ancora la città che lo aspetta lungo la strada, si domanda come sarà la reggia, la caserma, il mulino, il teatro, il bazar. In ogni città dell’impero ogni edificio è differente e disposto in un diverso ordine: ma appena il forestiero arriva alla città sconosciuta e getta lo sguardo in mezzo a quella pigna di pagode e abbaini e fienili, seguendo il ghirigoro di canali, orti, immondezzai, subito distingue quali sono i palazzi dei principi, quali i templi dei grandi sacerdoti, la locanda, la prigione, la suburra. Così – dice qualcuno – si conferma l’ipotesi che ogni uomo porta nella mente una città fatta solo di differenze, una città senza figure e senza forma, e le città particolari la riempiono.
Non così a Zoe. In ogni luogo di questa città si potrebbe volta a volta dormire, fabbricare arnesi, accumulare monete d’oro, svestirsi, regnare, vendere, interrogare oracoli. Qualsiasi tetto a piramide potrebbe coprire tanto il lazzaretto dei lebbrosi quanto le terme delle odalische. Il viaggiatore gira gira e non ha che dubbi: non riuscendo a distinguere i punti della città, anche i punti che egli tiene distinti nella mente gli si mescolano. Ne inferisce questo: se l’esistenza in tutti i suoi momenti è tutta se stessa, la città di Zoe è il luogo dell’esistenza indivisibile. Ma perché allora la città? Quale linea separa il dentro dal fuori, il rombo delle ruote dall’ululo dei lupi?


Italo Calvino, Le città invisibili