sabato 4 febbraio 2012

Su Bruno Osimo, "Dizionario affettivo della lingua ebraica" - Ed. Marcos y Marcos




Cosa accade se un uomo sostituisce al lettino del terapeuta lo spazio potenzialmente infinito della pagina bianca? Che le parole volano via dalla stanza dell’analista e si fanno segno, nero su bianco. Vecchie parole lasciano il posto alle nuove, alcune svaniscono del tutto, altre assumono significati inediti.

Tutto questo ne Il dizionario affettivo della lingua ebraica, edito da Marcos y Marcos, esordio alla narrativa per Bruno Osimo, milanese, classe ’58, di professione traduttore che, con una buona dose di incoscienza, sfida i lettori con un romanzo che non è esattamente un romanzo, con un dizionario che non è esattamente un dizionario, ma una sorta di misteriosa cabala.
Il testo, suggerisce l’autore, è lo sfogo di una personalità ossessivo compulsiva, una nevrosi tradotta su carta.
Nella prefazione, tutte le istruzioni per l’uso. Il lettore è avvisato: prendere o lasciare.
Chi accetterà la sfida, si perderà nei meandri di un incompiuto codice dell’anima, nel tentativo di dare una risposta all’enigma mai soluto della nostra umanità, ovvero: “Io, chi sono?”.
In 45 voci Osimo traccia il profilo della sua anima, nutrita con l’amata-odiata cultura ebraica, restituendo il proprio posto alle cose smarrite, ma non per questo dimenticate: il linguaggio fuorviante della madre (né ebraico né italiano,ma “mammese” o “tampònico”), la città di Alessandria e la voce sopranile della zia Alice, il papà Felice e Milano, la casetta bifamiliare di Salò infestata da spiriti agresti. Nella descrizione delle strategie di annientamento di questi mostri evanescenti nei confronti di un Osimo bambino, l’autore ci fornisce un saggio del suo stile, sempre sospeso fra autocontrollo e abbandono: ”Dal centro del mio corpo cercavano di farmi diventare grande grande grande grande, allora tutto si allargava dentro di me, lo stomaco mi si gonfiava come un palloncino, il cranio tendeva a spingere contro la pelle per espandersi, i piedi tiravano verso il basso, e io, per tenermi insieme, dovevo mettercela tutta, tutta[…] Allora finivo schiacciato contro le pareti e avevo paura anche di proliferare fuori dalla finestra come un gigantesco blob e sentivo in bocca un sapore metallico come quello che viene in bocca quando non si ha in bocca niente ma si ha paura”.

Il personalissimo dizionario di Bruno Osimo non è di certo un posto per menti scientiste avvezze al rigore del cogito cartesiano, ma un centro di permanenza temporanea per gli amanti di quelle intermittenze del cuore che hanno il pregio di riuscire a strapparci a labbra strette un sorriso in un misto di meraviglia e complicità.


Elda Lo Cascio