giovedì 9 dicembre 2010

Quando il troppo stroppia - Una breve recensione, per nulla lusinghiera, a “Il cimitero di Praga” di Umberto Eco (2010)



Nel bel mezzo della lettura de ”Il Cimitero di Praga” mi sono detta: “Chi sono io per giudicare Umberto Eco?”. Eppure, un’opera d’arte, a qualunque specie essa appartenga, una volta pubblicata, esibita o mostrata, non è più possesso dell’autore, ma di chi ne fruisce. Allora ho pensato che mi sarei sentita meglio a pensare di giudicare il prodotto e non l’artefice. Sì, perché per me è stato difficile, scorrendo le pagine del libro, riuscire a trovare qualcosa di positivo, di intrigante o, semplicemente, di mediamente interessante.
I narratori/personaggi del romanzo sono prevedibili, per nulla affascinanti, eroi negativi di una noia mortale, privi di mordente e troppo, troppo, artificiosamente costruiti. Per non parlare della mole di situazioni confuse e frammentarie tenute insieme dal protagonista-falsario dalla personalità irrisolta. Il tema del capro espiatorio e dell’antisemitismo così trattati sembrano una pagliacciata da dilettanti. Per non parlare dell’Unità d’Italia, della massoneria e dell’affaire Dreyfus. Un romanzo storico caotico con la pretesa di far dire e fare a uomini dell’Ottocento ciò che gli uomini contemporanei dicono e fanno abitualmente.
“Il cimitero di Praga” rimane, a mio avviso, un esercizio di stile preconfezionato per lettori piuttosto ingenui.
Ah, dimenticavo! Ad appesantire il giudizio, l’abusato espediente del diario come terapia freudiana che fa tanto coscienza di Zeno. Ma quello di Italo Svevo sì che era un Romanzo. E la /r/maiuscola non è un refuso.

E.L.C.

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