Inserisco nel blog un articolo scritto in occasione delle lezioni di cinema che il regista marsigliese ha tenuto a Palermo nell’ottobre 2006, un omaggio ad un grande del cinema francese, e un omaggio alla sua Marsiglia, vera protagonista dei suoi film (e dei quadri di Cèzanne…)
Robert Guédiguian è a Palermo. Il noto regista francese, autore di piccoli capolavori quali “Marius e Jeannette” (1997) o il più recente “Le passeggiate al Campo di Marte” (2004), film che racconta gli ultimi giorni di vita dell’ex presidente francese François Mitterand, è protagonista, nella nostra città, di un seminario sul cinema dal titolo “Lezioni Siciliane”. L’evento, che è ha avuto inizio lunedì 16 ottobre e finirà venerdì 20, è promosso dalla Filmoteca Regionale Siciliana insieme con il Centro Culturale Francese, ed è organizzato dall’Associazione Culturale Nanook. Robert Guédiguian, camicia bianca, pantalone nero, capello arruffato e occhiali tondi, incarna il modello dell’intellettuale francese. Ex attivista nel partito comunista francese, uomo di origini popolari (è nato all’Estaque, il quartiere portuale di Marsiglia), Guédiguian è approdato al cinema perché rappresenta una possibilità di resistenza politica in un mondo pervaso dalla caduta delle illusioni anticapitalistiche. Il suo cinema è costellato di elementi politici e ideologici. I protagonisti dei suoi film, in uno scenario ‘rustico’ (come dice lo stesso Guédiguian) e popolare, incarnano uno spaccato della società contemporanea, con i suoi valori e dis-valori, con la sua capacità di reagire o di rimanere immobile. Guèdiguian imposta il seminario sul cinema in modo non convenzionale: nessuna lezione frontale, solo interazione col pubblico che ha assistito alle proiezioni dei suoi film. Interrogato sul perché ha deciso di far cinema, Guédiguian risponde che in Francia, nei primi anni ’80, il cinema parlava soltanto di se stesso. Nel panorama cinematografico francese un film come “Dernier été” (1980), il suo primo lungometraggio, era assolutamente di controtendenza. Secondo il regista marsigliese, il cinema francese di allora non aveva alcuna fiducia in se stesso e nelle cose che raccontava. Per Guèdiguian il cinema deve avere fiducia nel reale perché, parafrasando Pasolini, la realtà non è altro che un lungo piano sequenza. Pertanto, l’autore di “Marius e Jeannette” invita tutti noi a fare cinema, perché è la cosa più semplice del mondo: il cinema è osservare la realtà. Ciò che conta e che fa la differenza è il nostro regard, il nostro sguardo sul mondo.
Per essere buoni registi, secondo il cineasta marsigliese, bisogna rinunciare a voler avere il controllo su tutti gli elementi del film. L’autore deve limitarsi ad avere un’”intuizione”, un “presentimento” riguardo a ciò che il film dovrà essere, ma soprattutto rappresentare. Il film nasce attraverso un confronto con la realtà e questo giustifica il fatto che ogni singolo spettatore possa percepire il film in modo differente da ogni altro. Se Bertold Brecht parla di spettatore ideale, ovvero il destinatario che vive nella mente del regista quando questi “crea” il film, Guédiguian rinuncia a questa utopia e accetta che l’opera d’arte, una volta portata a termine, appartenga del tutto allo spettatore e non più al suo autore. In questa concezione dell’arte, il cinema assurge ad un ruolo fondamentale, ovvero a scuotitore delle coscienze. Proprio per questo i film, secondo Guédiguian, devono essere estremi; diremmo con Aristotele che devono appartenere alla commedia o alla tragedia, senza via di mezzo. Il punto di partenza è una problematica che può essere risolta o meno. Un film deve fare arrabbiare o deve incoraggiare, continuando ad avere risonanza nella vita dello spettatore, anche a visione conclusa. In questo senso, l’arte si configura come resistenza alla morte e come spinta “politica” a cambiare le cose. In definitiva, un autore produce sempre uno stesso film anche se in forme differenti. L’evoluzione di un percorso artistico corrisponde all’evoluzione della biografia di una autore e ci sono cose che spesso rimangono uguali nella sostanza, pur cambiando forma. Quello che può cambiare è il modo di raccontare una storia ma non la storia in sé.“Marius e Jeannette” e “La ville ést tranquille” incarnano appieno questa concezione dell’arte, ma ancora di più, il finale epico di “Marie-Jo e i suoi due amori”, che nella tragicità della storia ci riporta al presente, ci fa scontrare con quella che è l’essenza della condizione umana, ovvero il suo essere effimero.
E.L.C.
(anche su http://www.cinematocasa.it/)
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